Stia e Pratovecchio

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La data non mi è del tutto sconosciuta e compiendo un tuffo nella memoria mi ricordo che l’ 11 giugno del 1289 è una data per gli aretini da dimenticare , la sconfitta di Campaldino, guelfi e ghibellini, Dante Alighieri e … comincio a fantasticare! Mi è chiaro che da Campaldino posso seguire un itinerario alla ricerca di Dante.
Giungo a Pratovecchio, i portici e la parrocchiale, quasi un anfiteatro, mi accolgono:sono nella piazza centrale dedicata all’ artista Paolo Uccello che qui nacque alla fine del ‘300. Ogni passo  è una nuova scoperta, dal monastero delle Monache domenicane di S. Maria della Neve, tutto in atmosfera quieta e suggestiva. Decido di far sosta in questo borgo. La mattina lascio il paese per proseguire ancora il viaggio sulle tracce di Dante Alfieri qualche secolo dopo..

Stia

Stia sorge alla confluenza della Staggia con l’Arno, ai piedi del monte Falterona.

Stia ha antiche costruzioni (notevole la chiesa dell’Xl secolo e la Pieve S. Pietro del XVI secolo) è oggi un’industriosa cittadina, nota per i suoi lanifici.

Stia trae la sua origine dall’essere stata un villaggio sorto sulla romana Via Maior che collegava il Casentino a San Godenzo, in Mugello. Il toponimo è di origine latina, per contrazione dal nome del torrente Staggia. Le prime indicazioni sul paese di Stia si trovano nel Regesto Camaldolese del 1053 dove si legge della Plebe S. Mariae de Staia e successivamente, nel 1093, troviamo citato un Casale de Stia.

Nel Medioevo Stia si sviluppò come mercatale della Contea di Porciano e residenza del ramo dei Conti Guidi detti di Palagio per ricordare la costruzione, avvenuta nel 1230, di una sontuosa abitazione sulle rive del torrente Staggia, detta appunto il Palagio.

Attorno a questo imponente edificio si sviluppò un nuovo agglomerato, che andò ad aggiungersi al villaggio già esistente a monte, denominato Stia Vecchia.

I Conti Guidi di Palagio mantennero il possesso della terra di Stia sino all’assedio a cui il borgo fu sottoposto da parte della Repubblica Fiorentina (1402).

La storia di Stia in seguito rimase a lungo legata a quella di Firenze, ai Medici prima e agli Asburgo-Lorena poi.

Il comune, che nel 1840 contava 2.901 abitanti, ebbe un grande sviluppo grazie alla lavorazione della lana che portò Stia ad essere un centro produttivo importante. È qui che nacque il celebre Panno Casentino. Nei primi anni del 1900 erano quasi 500 gli operai impiegati nel Lanificio di Stia.

Il paese, cresciuto al suono della sirena della fabbrica, ha attraversato vari periodi di sviluppo ed ha certamente risentito della chiusura del grande stabilimento laniero.

Oggi Stia, che ha individuato nel turismo la sua nuova leva di crescita, è un paese in cui passato e presente, progresso economico e difesa dell’ambiente, tradizioni e storia si coniugano sapientemente.

 

Situato a sud della cima del Monte Falterona e a poche centinaia di metri dalla sorgente Capo d’Arno, il Lago degli Idoli  è il più importante sito archeologico casentinese, in cui è stata raccolta una delle più cospicue testimonianze del culto del mondo etrusco. Nel maggio 1838, in seguito al ritrovamento fortuito sulle rive del lago di una statuetta in bronzo raffigurante Ercole, prendeva avvio a Stia la formazione di una Società di amatori locali con lo scopo di effettuare ulteriori ricerche. Gli scavi portarono al prosciugamento dello specchio d’acqua e al ritrovamento di una delle più ricche stipi votive del mondo etrusco, che fece assumere al sito la denominazione di Lago degli Idoli. Furono recuperati infatti oltre 600 bronzetti, alcuni dei quali sono conservati al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi.

 
 
Pratovecchio

el Medioevo Pratovecchio era un feudo dei Conti Guidi che avevano vari castelli in Casentino, come quello di Romena, e fondarono  l'attuale convento delle Camaldolesi. 

Il Conte Marcovaldo fece costruire le mura di fortificazione ancora visibili nella cerchia di Piazza Vecchia. Nel 1437 al Comune di Pratovecchio fu assegnato il leone rampante come stemma del vessillo.

Con la sconfitta definitiva dei Conti Guidi Pratovecchio passò sotto l’influenza diretta di Firenze a cui restò molto legata nei secoli successivi. Anche le Foreste, confiscate ai Conti Guidi, passarono all’Opera del Duomo di Firenze prima, al Granducato poi ed infine al patrimonio personale dei Lorena. Na è sempre stato dislocato in Pratovecchio il centro principale per la loro salvaguardia e gestione. Il legname veniva trasportato lungo la Via dei Legni alla Badia da dove era avviato, sfruttando le piene dell’Arno, verso Firenze e Pisa per essere utilizzato anche per la costruzione della flotta granducale.

In effetti la storia del Comune di Pratovecchio è sempre stata unita alla bellezza delle sue foreste e alla maestosità del Falterona e non è un caso se attualmente è la sede del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
L’abbondante varietà della vegetazione, l’ottimo clima e la posizione in una valle ricca di storia e di cultura ne fanno una zona ricercata dai visitatori in ogni periodo dell’anno. A loro la cittadina offre tutti i servizi necessari, numerose manifestazioni e le bellezze storiche delle sue opere d’arte.

Il centro del paese ha strade strette lastricate in pietra e piazze incastonate in mezzo ad edifici che mantengono intatta l’atmosfera del tempo antico. Borghi e piazze sono fiancheggiati da lunghi portici.
Il centro storico di Pratovecchio è in Piazza Vecchia, ma il fulcro della vita sociale del paese è "Piazza Nova" intitolata a Paolo Uccello, il grande pittore nato nel 1397, figlio di Dono, barbiere e chirurgo di Pratovecchio.

Sono notevoli in paese: un tabernacolo situato in Borgo Mezzo che espone una bellissima terracotta robbiana; il Convento Camaldolese con opere varie fra le quali spicca l’Incoronazione della Vergine, una tavola di G. Bizzelli del 1600 e appartenente alla scuola del Pontormo; il Monastero Domenicano con la Chiesa di tutti i Santi, ornata di decorazioni del ‘700 e di vari dipinti dello stesso periodo o precedenti; la Chiesa della Badia o di Santa Maria a Poppiena la cui esistenza è documentata fin dal secolo XI, di cui in questo periodo si sta terminando il restauro.

La Chiesa principale del paese, la Propositura del SS Nome di Gesù , è situata in Piazza Iacopo Landino, detta anche "Piazza Vecchia". E’ stata costruita accanto al Cassero e all’attuale sala del Podestà, che rappresentano il nucleo storico più antico del paese, ha un’unica navata con il soffitto a formelle di legno di tipo cinquecentesco.
Insieme con alcune tele del XVII secolo e ad un affresco più recente, vi si possono ammirare un Crocifisso di legno del 1400, una tavola della Madonna con Bambino del Maestro del Varlungo (XIII secolo), un trittico con Madonna e Santi ed altri due pannelli di Giovanni del Biondo (XIV secolo), ed una tavola della Madonna del Rosario di Francesco Mati del 1589.

Pratovecchio è il paese che ha costruito il maggior numero di monumenti ai caduti: tre nell'arco di mezzo secolo circa. Il primo, cioè il fantaccino che innalza al cielo la vittoria alata mentre calpesta un elmetto nemico, risale agli anni venti. Collocato inizialmente nel Parco della Rimembranza, venne poi sistemato di fronte alle scuole elementari, perché i "figli della lupa" e i "balilla" imparassero presto le virtù militari della razza.Nel monumento essi potevano vedere la fierezza del soldato italiano della grande guerra fondersi con la bellicosità sprezzante degli "arditi" d'Italia e delle "camicie nere della rivoluzione".

Dopo che la Wermacht ebbe distrutto il monumento degli anni venti, nel secondo dopoguerra Pratovecchio affidò il ricordo dei caduti a un semplice obelisco in pietra serena, sormontato da una stella metallica. Così la fase di ripensamento e di radicali revisioni venne come fissata in un'opera neutra o indecifrabile.

L'evoluzione straordinaria della coscienza civile di un popolo è documentata dal terzo monumento ai caduti di Pratovecchio, concepito e realizzato agli inizi degli anni ottanta. Lo scultore Antonio Berti proprio vivendo per qualche giorno con la gente del posto ebbe l'idea dell'arcangelo San Michele. Nelle sembianze di un mite fanciullo, egli solleva una spada fiammeggiante, divenuta nelle sue mani simbolo  della lotta religiosa contro il male, che è tanto l'ingiustizia quanto la violenza. La figura dunque esprime un'assoluta condanna della guerra

Sotto il castello feudale di Romena, a 3 km da Pratovecchio, situata in vista di uno splendido panorama del Casentino, troviamo la Pieve di San Pietro che rappresenta un esempio di architettura romanica fra i più notevoli dell’intero territorio.
Dedicata a S. Pietro Apostolo si trova sulla Via Maior, eretta su un primitivo edificio sacro etrusco e romano.

L’impianto romanico attuale risale al periodo della costruzione avvenuta intorno al 1152; la facciata è stata ricostruita dopo un crollo avvenuto nel 1678 a causa di uno smottamento e il tetto è stato restaurato nel 1712, ma sia l’esterno che l’interno, costruiti con pietra arenaria locale, purtroppo corrosa dal tempo, rappresentano un esempio di eleganza e di raffinatezza.
Sul lato sinistro si trova un campanile quadrangolare più antico della chiesa stessa.

L’interno è a tre navate separate da colonne con capitelli finemente decorati, di singolare espressività, tutti scolpiti da mani esperte, di probabile scuola lombarda o francese.
La navata centrale è conclusa da un’abside semicircolare. Le finestre delle navate laterali e di quella maggiore sono collocate in modo asimmetrico e inondano di luce intensa tutta la chiesa.
Alcuni saggi esplorativi condotti nel 1970 in occasione del rifacimento del pavimento, hanno messo in evidenza i resti in pietra calcarea di una chiesa più antica sottostante, ai quali si può accedere scendendo una scala situata nella navata di destra.
Fino a qualche anno fa la Pieve accoglieva alcune opere pittoriche del 1300 di notevole importanza che attualmente possono essere ammirate nella Propositura di Pratovecchio, nella Cappella del Crocifisso

 

IL CASTELLO DI ROMENA

E’ posto sopra un poggio a 621 metri di altitudine, in posizione dominante sia sul paese di Pratovecchio che della vallata del Casentino e rappresenta in Toscana uno dei castelli più ricchi memorie storiche.

Ormena o Romena è nome di origine etrusca, come dimostrano i frammenti di vasi e di utensili domestici ritrovati durante alcuni scavi.

Il primo capostipite dei Conti Guidi di Romena che vi abitò fu Arghinolfo, che ebbe il castello con tutto il territorio attiguo. Con lui crebbe il potere di questo ramo della famiglia e presto il Castello divenne famoso e potente fino ad assoggettare altre terre ed altri castelli vicini.
Dante lo immortalò nel XXX Canto dell’Inferno, nell’episodio di Mastro Adamo, falsario, che pagò con la vita l’aver falsato, per conto dei Guidi, i fiorini di Firenze.

Anche se restano in piedi solo tre belle torri e parte delle mura, il Castello è tuttora splendido e imponente. Sono ancora pieni di fascino il ponte levatoio, la torre delle prigioni, il cammino di ronda.

L’importanza storica e monumentale, la sua felice posizione geografica e i ricordi danteschi fanno sì che il Castello di Romena sia meta obbligata di tutti coloro che vengono in Casentino e che da questo colle ammirano un panorama stupendo, in mezzo al corso dell’Arno, al verde dei pioppi e alla catena dei monti circostanti.

IL MUSEO DI ROMENA

Da meno di un anno Romena è diventata anche sede di un importante Museo Archeologico e delle Armi. I reperti etruschi, di elevato interesse storico-artistico, non appartengono all’area di Romena, ma sono stati rinvenuti in gran parte in Umbria, nella zona di Amelia e scrupolosamente conservati dal presidente del Museo, ingegnere Farrattini Pojani.

Nella Sala Grande troviamo otto vetrine con oggetti che sono stati raccolti e catalogati uno per uno. Questo museo è meta irrinunciabile di tutti coloro che sono appassionati di paleontologia e di archeologia.
Vi si possono infatti ammirare anfore, coppe, crateri, urne cinerarie e bronzi preziosi e di grande valore artistico, insieme alla curiosa collezione di ferri chirurgici appartenuti ad un dentista etrusco. L’attigua Sala d’Armi mette in mostra frecce e coltelli in silice di età neolitica insieme a varie armi di età più moderna.

Alla fine della visita si può acquistare un fiorino d’argento dorato, a ricordo del fascino del posto ed in memoria del conio dei fiorini falsi ricordato da Dante.

 
 
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